Il principale problema del Fitbit è la scarsa elaborazione dei dati raccolti e il fatto che per possedere questi dati — scaricarli, e farci altro — sia necessario sottoscrivere un abbonamento premium (ovvero pagare, per avere i miei dati). Qualcosa si sta muovendo: diverse persone appassionate del quantified self stanno creando soluzioni per esportare i dati — dal Fitbit, Jawbone, o altro —, aggregarli indipendentemente dallo strumento che si utilizza (vedi Human API), e magari riuscire a ricavarci, finalmente, qualcosa di utile:

If you’re using any of the widely available low-cost, personal data collecting devices like Fitbit, Nike+, or Withings Scale, then what you can actually learn from that data is going to be limited by the manufacturer. Your data — and this is literally your data we’re talking about: your sleep patterns, nutritional habits, etc — can be lost or sold in ways and means entirely outside of your control.

The Verge ha recensito il nuovo Fitbit Flex (simile al Jawbone UP), e alla fine è arrivato alla stessa conclusione che ero arrivato io recensendo il Fitbit One: questi strumenti devono analizzare più a fondo i dati, inserirli in un contesto, interpretarli; non limitarsi a raccoglierli.

The next step for Fitbit and others is to answer that “so what?” question, and tell me things like, “Hey dude, drink less coffee at night and you’ll sleep better,” or “You never walk around between 10 and four, maybe you should take a break.”

Moves, un’applicazione per iPhone che sostituisce il Fitbit

Nella recensione pubblicata la scorsa settimana sul Fitbit, lamentavo l’assenza di un contesto dei dati raccolti. Sarebbe stato utile sapere dove mi trovavo quando ho camminato per 3km, e dove invece sono rimasto inattivo più a lungo durante la settimana. Moves è una, nuova e gratuita, applicazione per iPhone per il quantified self che fa gran parte delle cose del Fitbit più altre, sfruttando il GPS. La mia prima preoccupazione è stata la batteria dell’iPhone, che invece mi sembra abbia retto bene (ndr. ho un iPhone 5).

Moves è in grado di dirmi non solo quanti passi ho fatto, ma anche dove li ho fatti, registrando il tutto in una timeline. A fine giornata so dove sono stato, quando ho preferito prendere un mezzo pubblico invece che camminare e quanto tempo ho perso seduto a bere il caffè da Starbucks.

Quale dei due ha registrato meglio la mia giornata? Giudicate dagli screenshot qua sotto. E ricordate: il Fitbit costa 99$.

Moves

Moves app Moves app

Fitbit

 

Fitbit One: una recensione sfibrante

Ho acquistato il Fitbit One, un activity tracker. Chiedete: “Perché non un Jawbone UP, dopo che ce ne hai parlato così spesso?”. Rispondo:

  • API. Il vantaggio principale del Fitbit, per me, è che offre delle API, il Jawbone UP no. Quindi ci sono, o ci saranno, tutta una serie di applicazioni e servizi non ufficiali che sfruttano il prodotto.
  • Ha l’altimetro.
  • Non serve collegarlo né all’iPhone né al Mac per sincronizzarlo, è dotato di bluetooth 4.0
  • (Motivo scemo, d’impazienza: l’UP non è in vendita fuori dagli USA)

C’è da aggiungere che settimana scorsa, al CES, Fitbit ha presentato un nuovo tracker, Fitbit Flex, da mettere al polso, somigliante all’UP e al Nike Fuelband — ovvero con il vantaggio che hanno gli altri due oggetti, più quelli elencati sopra meno però l’altimetro. Data questa assenza, il Fitbit One resta il tracker migliore in commercio.

Dopo due settimane di utilizzo, sto messo come Craig Mod: cammino solo per il gusto di vedere le linee dei miei grafici impennarsi. Non ho più preso un autobus di mattina, alle fermate dell’underground ignoro i minacciosi cartelli “attenzione, questa scala è composta da 320 gradini non prendetela a meno che non siate dei pirla”, sono addirittura andato a correre! Le mie zampe ancora non si sono riprese dallo shock. Mettiamola così: questa è stata la recensione più faticosa che io abbia dovuto scrivere, ad oggi. Sono sfibrato e stanco. Da questo lato, funziona: ti incentiva a camminare di più, per raggiungere l’obiettivo che ti sei prefissato.

Il tracker

Fitbit tiene conto dei passi, dell’altitudine, calorie, distanza percorsa e delle dormite (tutte queste informazioni le visualizza sullo schermo OLED di cui è dotato), dove per quest’ultime registra anche il tempo che abbiamo impiegato ad addormentarci e il numero di volte che ci siamo svegliati. Al contrario del Jawbone UP, il Fitbit ha il classico aspetto del contapassi; lo si porta alla cintura o lo si mette in tasca. Quando si dorme lo si mette sul braccio, con un’apposita fascia (non dà per nulla fastidio). Le storie di gente che l’ha perso fioccano, quindi io alla cintura ce l’ho portato solo per i primi quattro giorni. Poi è finito nel taschino minuscolo ed inutile dei jeans. Trattandosi però di un oggetto piccolo mi sembra facile che esca inavvertitamente, e si finisca col perderlo. Una brutta prospettiva, per un’affare di 99$.

(Di recente ho avuto un’illuminazione di cui sono particolarmente fiero: prendere una di quelle cinture che alcuni usano nei viaggi, con una piccola tasca interna per nascondere i soldi. Potrebbe essere una buona soluzione.)

Mi pare piuttosto preciso nel raccogliere i dati. Certo, ci sono cose che vorrei facesse e non fa. Per esempio è in grado di svegliarmi la mattina vibrando, ma invece che farlo ad un orario preimpostato sarebbe bello se come l’UP fosse in grado di determinare la fase di sonno leggero e svegliarmi durante quella — in modo che fossi riposato e pimpante. Sono anche convinto che l’activity tracker ideale dovrebbe avere il GPS: in tal modo potrebbe creare una mappa, indicando le zone attive e quelle passive, rendendo i suggerimenti su come migliorare più accurati.

Ma in generare, tutte le soluzioni in commercio più o meno si equivalgono. Se lo chiedete a me, avrà successo l’activity tracker che sarà più bravo nel leggere i dati, ovvero nel dare una prospettiva e un contesto a quello che raccoglie. Come sempre, l’hardware da solo non vale una mazza: sarà il software a fare la differenza. L’applicazione per iPhone e il sito: chi li farà meglio sarà anche chi, probabilmente, col tempo avrà più successo. Il Fitbit non è messo molto bene, da questo punto di vista. Ma la situazione è mediocre ovunque, ancora non c’è nessuno che eccelle in questo campo. C’è però, scegliendo il Fitbit, un vantaggio che gli altri non hanno: le API, appunto.

L’applicazione e il sito

Non è granché: i dati che fornisce sono piuttosto scarsi, privi di un contesto ampio a sufficienza. È deludente che lo schermo retina dell’iPhone 5 dia quasi la stessa quantità di dati del display OLED del Fitbit. Potrebbe, e dovrebbe, fare di più. È mediocre, strutturata non proprio bene e ricca di parti superflue: la sezione che consente di tenere traccia del numero di bicchieri d’acqua bevuti nel corso della giornata e il sistema per inserire le calorie consumate, macchinoso, complesso e per nulla intuitivo. Capisco che alcuni possano trovare utili queste cose, non serve eliminarle del tutto: basta fare due applicazioni. Una per la gestione del Fitbit e una per un healt graph più esteso.

L’idea è che il Fitbit sia più utile se l’utente si impegna spiegandogli cosa ha mangiato nel corso della giornata, il problema è che l’impegno è davvero grande, anche per cose — come prodotti industriali — che dovrebbero essere facili da inserire. Persino registrare le calorie di un panino di McDonald’s è complesso, dato che all’utente vengono presentate varianti su varianti, opzioni e alternative. Invece che cercare la perfezione dei dati, non sarebbe meglio bilanciare accuratezza con semplicità e fare un’approssimazione? Approssimazione che, a meno che non si mangi sempre in posti come McDonald’s, sarà comunque inevitabile quando si cucina in casa.

La parte del “food tracking” è sostanzialmente inutile: l’ho usata una giornata e poi buttata via. Altrettanto incasinata la parte che permette di tenere traccia delle attività svolte (nel registrare una corsa, ad esempio, ci si trova di fronte a venti tipi diversi!). Un’enorme fatica che pochi saranno disposti ad affrontare. Il resto è utile ma troppo essenziale.

Il sito non è da meno, dato che offre le stesse funzioni dell’applicazione. La mia più grande delusione è che non fa nulla per rendere i dati raccolti interessanti. A parte tracciare i grafici più banali e scontati; esempio: lo storico dei sette giorni di dormite. Non gioca con i dati, non li relaziona, non cerca un modo di incrociarli che stupisca. Fortuna che ci sono le API. Notch è uno di quei siti che, sfruttando le API ufficiali del Fitbit, queste cose le fa. Le API permettono, fra le altre cose, di importare i dati su RunKeeper e utilizzare Google Docs per creare i propri grafici personali (quest’ultima cosa è molto utile). Purtroppo ad oggi non offrono molto altro, ma spero che nel tempo l’adozione da parte di terzi aumenti.

C’è una cosa che mi ha fatto alzare le sopracciglia: l’azienda vende un servizio che chiama Fitbit Premium e attraverso il quale offre al cliente, che ha pagato 99$ per un oggetto, quei servizi che già dovrebbe dargli gratuitamente: un’allenatore virtuale che lo sproni a fare di più, un contesto ai dati raccolti. Una lettura che li renda utili senza fatica per l’utente. Ho dormito 4 ore: cosa significa? Cosa comporta? Se questa assenza di base potrebbe anche essere accettabile è vergognoso che io, in quanto utente normale non abbonato a quel servizio, non possa scaricare i miei dati. La cifra per effettuare il download di quello che mi appartiene è 49$ all’anno.

Conclusione

Abbiamo bisogno di dispositivi che facciano silenziosamente queste cose per noi — braccialetti come l’UP, bici, cardiofrequenzimetri e bilance — e si connettano a un sistema centralizzato che  compili le informazioni e le renda utili per noi. Questi device devono fare tutto questo con la minore interazione necessaria, così che le nostre attività rimangano il più naturale possibile. Invece che tribolare con un’applicazione per iPhone, semplicemente prendiamo la bici (con un modulo GPS integrato) che da sola si preoccupa del data tracking e fa l’upload per noi, mentre qualsiasi servizio abbiamo scelto si preoccupa di raccogliere i dati. — Kyle Baxter

Un oggetto di questo tipo non serve a niente se non c’è del lavoro dietro i dati raccolti. Un oggetto di questo genere dovrebbe suggerirti cosa fare per migliorare, indicarti quali sono i giorni più attivi e quelli più passivi, quali le ore sedentarie e quali no, magari chiedendoti per le prime dove ti trovavi e dicendoti cosa potresti fare per migliorare. Questo lavoro, semplicemente, non c’è. O ce n’è poco. Quindi se prendete un Fitbit, sappiate che toccherà a voi farlo. Al momento il Fitbit i dati si limita a raccoglierli: non è abbastanza.

È un oggetto che richiede lavoro da parte dell’utente, non fa molto da solo e dovete impegnarvi perché si riveli utile. Ma non credo sia un difetto del Fitbit: credo sia una cosa di tutti gli activity tracker, che hanno ampi margini di miglioramento e al momento restano un oggetto per appassionati del quantified self. Sono soddisfatto del Fitbit in sé, non lo sono dell’applicazione e del sito.

Se dovessi dare un voto, darei 8/10 al tracker e poi direi all’ecosistema che gli è stato costruito attorno di tornare al prossimo appello, che proprio non ci siamo. Ragione per cui prendetelo solo se avete voglia di perderci tempo: con le API, con Google Docs, con servizi alternativi.

Lo trovate su Amazon o sul sito ufficiale, a €99.