Perché sui giornali italiani chiunque può decidere — e si sente autorizzato a farlo — di parlare di tecnologia anche se non conosce né capisce nulla dell’argomento? Succede di continuo, e l’ultimo prodotto di tale pratica è di Luca Telese su Linkiesta, con un pezzo delirante e paranoico su quanto sia cattiva Apple a dare un aggiornamento gratuito (scrive Ios 7, immagino sia iOS 7) a tutti i possessori dell’iPhone:

E infatti i renitenti alla chiamata che non aggiornano si ritrovano regolarmente con la linea che cade, con le tacche del campo che si flettono, con le icone che vibrano, si impallano, non sono più le vecchie compagne di tante battaglie. Ebbene ho ceduto, ho aggiornato, ho dovuto sacrificare una foto e un filmino su tre perché servivano 3.9 gigabyte, perché il rito dell’aggiornamento potesse celebrarsi.

Un ventenne, Andrea Giarrizzo, ha fatto un’applicazione banale, noiosa e pure illegale: tutto quello che fa è permettere di scaricare i video da YouTube, violando pure i termini del servizio. Una cosa da “notizie che non lo erano”, ma nemmeno a metterci tutto l’impegno. Invece da noi è successo Volunia, parte due: l’hanno gonfiata, gonfiata e gonfiata di nuovo, ne hanno parlato come fosse il nuovo Zuckerberg, è andato a Ballarò, il sito Che Futuro! (speriamo non il loro) ha ripetuto la consolidata tiritera che oramai estrae ogni volta che c’è un’innovazione non innovativa italiana (è giovane, è di un umile paese di provincia, made in Italy!) e lo sviluppatore ha quasi vinto 100.000 dollari da Samsung.

Poi però si sono accorti che l’applicazione era illegale, l’hanno rimossa, e ora Riccardo Luna — che c’entra con CheFuturo! — scrive:

Ma il post su chefuturo! e soprattutto i tweet scandalizzati di alcuni di voi, hanno allertato Google Italia e Samsung Italia che oggi sono intervenuti e in poche ore You Tube Downloader è sparita. Non esiste più. […]

Noi non siamo l’America. Un anno dopo che Napster era stato chiuso per illegalità, nel 2002 il suo fondatore Shwan Fanning veniva scelto dal MIT tra i 100 top innovator under 35 del mondo. Qui è stata una corsa a tirare la prima pietra.

BUM! L’ha scritto davvero?

La recensione di Marco Lombardo del Galaxy SIII, su Il Giornale. Mai lette recensioni altrettanto profonde:

Il design doveva riflettere il vento, acqua e luce, così come l’abbassarsi del sole al tramonto, la rifrazione della luce in una goccia di pioggia, il suono delle increspature dell’acqua nello stagno, il fruscio delle foglie su un ramo. Suoni e movimenti visuali che si ritrovano nelle funzioni dello smartphone. E poi la semplicità, ovverò la caratteristica primaria del mondo.

Anche la scelta di materiali, colore e finitura sono stati guidati dalle ricerche in natura: la scocca esterna, ad esempio, ha un aspetto levigato, liscio al tatto e distensivo per gli occhi. L’ergonomia è stata ottimizzata, cornice e schermo sono fusi per rendere piacevole il telefono alla vista. Che, ovviamente, viene esaltata dallo schermo Amoled Hd, leggermente concavo per scomparire guardando il Galaxy di lato, così come accade per una piscina a sfioro che esalta l’orizzonte.

Viene in mente un vecchio (e giusto) appello lanciato ai giornalisti da Gizmodo: per piacere smettetela di definire sexy i device. In questo caso, si è andati ben oltre.

Ho letto una cosa su DNS Changer, l’ho letta su Repubblica, inizia così:

L’Apocalisse non può più attendere. A partire dalle prime luci di lunedì, centinaia di migliaia di computer di tutto il mondo sono a rischio infezione. Addio Internet: chiunque cercherà di avventurarsi sui siti più famosi di tutto il mondo, da Facebook ad Apple, passando per gli indirizzi perfino dell’Fbi, sarà sbattuto fuori dal world wide web. Www non più: fuori. E la cosa incredibile è che a sbatterci fuori sarà proprio l’Fbi: e per giunta per conto del tribunale di New York.

Le cose si spiegano diversamente. Se non si è in grado, o non si ha voglia, di farlo, meglio lasciar perdere.

Il sogno infranto delle galline

Riguardo Volunia, argomento fino ad oggi volutamente evitato su queste pagine perché se mi mettessi a recensire e parlare di ogni startup che crede di essere innovativa e speciale annoierei tutti infinitamente, ho solo due cose da dire. Le dico, velocemente, sotto forma di appunti, sapendo che andrebbero entrambe sviluppate maggiormente.

La prima cosa riguarda la retorica stantia e noiosa sull’Italia, tutti orgogliosi di un prodotto solo perché può vantare del tricolore, di un Marchiori che ricorda in ogni occasione e ad ogni evento di avere milioni di proposte estere, proposte che puntualmente rifiuta perché desidera rimanere in Italia e lottare [1. Sul tema, Volunia è nato vecchio perché è figlio dell’università, Paolo Bottazzini su Linkiesta.it]. Lodevole, ma questo deve essere un elemento di contorno, non il fulcro di tutto, non deve essere la sola ragione per cui si parla del progetto. E invece fiumi di parole a ricordare a noi, in ogni occasione, che il prodotto è italiano, frutto di menti italiane.

Se il mio obiettivo fosse l’arricchimento personale, avrei da tempo abbandonato l’Università e l’Italia e accettato una delle offerte provenienti dall’estero. Mi sono invece immerso anima e corpo in questo progetto per la bellezza di far progredire il mondo del web, per il piacere di dare una scossa al futuro e fare qualcosa di utile. Ed anche per altri motivi, come quello di dare stimoli all’Italia, mostrare che si deve cercare di innovare, e non serve necessariamente scappare da questo Paese per farlo.

Essendo io una persona strana, il luogo di sviluppo e nascita di un progetto sono fra le ultime cose a cui faccio caso quando mi iscrivo a un sito. Essendo una persona originale, io mi iscrivo a un sito se è bello e se il prodotto che offre funziona. Essendo stravagante, la nazionalità degli sviluppatori è in secondo (anzi, terzo) piano. Invece mi sembra che l’unica ragione per cui la stampa ha tanto parlato di Volunia è che Volunia è nata in Italia.

Ora, Volunia, grande esempio di quello che l’Italia può far nascere, aveva:

  • Una grafica così bella che veniva voglia di navigare il sito disattivando il CSS
  • Non funzionava

Il sito non funzionava. Il motore di ricerca non ricercava, le metamappe di per sé risultano piuttosto inutili. Ecco perché è fallito. Mica perché è difficile innovare in Italia[2. Non sto negando che lo sia, manca sicuramente il dare spazio e fiducia alle nuove idee, la cosiddetta cultura del fallimento. Ma Volunia non ce l’ha fatta per altre ragioni]. Mica per la miopia degli investitori.

La seconda cosa che voglio dire, la faccio corta, è che la lettera in cui Marchiori annuncia il suo ritiro, inviata alla stampa, e pubblicata acriticamente dalla medesima, rappresenta bene un altro problema italiano. In Italia manca la cultura del fallimento, dice Riccardo Luna (ex direttore di Wired Italia) commentando le reazioni del web alla lettera. Vero, ma manca anche un’altra cosa: la cultura del prendersi la responsabilità delle cazzate che si fanno.

Volunia l’hai fatto te, Marchiori. L’hai promosso, diffuso e portato avanti. Ne hai parlato per mesi alla stampa, creando un immotivato hype, e ora te ne tiri fuori, dicendo che eri già a conoscenza di tutti i problemi — dovuti ad altri, non a te. Hai lavorato e promosso un progetto in cui non credevi, dicendo però, fino a ieri, ai giornali che quello era un grande progetto che rappresentava quello che l’Italia può essere in grado di fare.

Manca la cultura del fallimento (e magari dell’essere in grado di ammetterlo, anche), ma questa cosa qua, che roba sarebbe? La cultura del non sono stato io, la colpa e i problemi sono sempre da dare a terzi?

Notizie che non avevano nessuna probabilità di esserlo

Il Sole 24 ORE riportava ieri l’improbabile notizia di un’acquisizione di Starbucks da parte di Apple. Si tratta di un falso, ovviamente, come chiunque avrebbe sospettato apprendendola, un falso inventato da The Apple Lounge in occasione del 1 Aprile. Un falso che non è tuttavia stato presentato come tale, sia da blog che, persino, da quotidiani che dovrebbero avere un livello leggermente superiore di autorevolezza.

L’episodio insegna tre cose. La prima è che non solo il Sole 24 ORE ha riportato una notizia falsa, ma non ha nemmeno specificato la fonte da cui proviene tale notizia come sovente avviene qua da noi.

La seconda: i quotidiani italiani generalmente affrontano le notizie tecnologiche con questo livello di qualità. Spesso i rumors vengono trattati e presentati come dati di fatto, gli articoli sono scritti con molta superficialità. Se questo è sopportabile su un blog non lo è su un quotidiano generico i cui lettori sono meno esperti del settore e saranno disposti a credere e fidarsi di quello che gli viene detto[1. Nel caso specifico di questa notizia: mia madre me l’ha inoltrata per email (dandola ovviamente per veritiera) sapendo di avere sfortunatamente un figlio fissato sia con Apple che con Starbucks.].

In ultimo: in Italia i blog decenti che si occupano di notizie Apple sono pochi, gli altri sono tutti in stile iSpazio. Tante recensioni di applicazioni inutili alternate a rumors. Articoli rubati a blog americani, spesso privi di fonte, spesso scritti senza il più blando fact-checking. Il problema: questi blog funzionano. Ne abbiamo già parlato, sarebbe anche inutile e noioso riprendere il discorso.

Concludo con una citazione rubata a “The Sad State of Italian Apple News“, articolo di Federico Viticci :

The Italian Apple news scene is in a coma. There are too few good guys, and they are easily forgotten because people prefer to get their news from the deathbed of old media. I have seen enough of other countries’ Apple coverage to know that, even with their stupid rumors, at least most outlest do some basic homework. Not so in Italy. We are full of non-credited, misquoted, poorly written articles about Apple.

La professionalità perduta di certi blog e, peggio, di certi quotidiani

Scrivevo ad inizio settimana – in “Uscire dal rumore quotidiano” – della poca professionalità di un buon pezzo della blogosfera nostrana. Torno ora sull’argomento a causa della foto che nelle ultime ore circola in rete, una foto piuttosto scioccante che mostra uno Steve Jobs particolarmente malato.

Mentre molti blog americani, persino il pessimo e sempre pronto al gossip Gizmodo, si rifiutano di diffonderla, da noi a pubblicarla è stato non solo Mela|Blog – complimenti, eh! – ed altri siti/blog di poco conto, ma anche entità più importanti e serie che dovrebbero in teoria seguire delle regole etiche, giornalistiche, in quello che fanno. Di fatto, sto parlando di Repubblica che la segnala persino nella propria home.

Anche se la foto fosse vera non andrebbe comunque pubblicata. Perché non è una notizia – lo sappiamo già tutti, che Steve Jobs ha problemi di salute. La foto in questione non ci dice nulla in più, non aggiunge nulla alla nostra conoscenza. Quello che rappresenta è un interesse non giustificato ad entrare nella sfera personale della vita di una persona, e a farlo in un momento difficile.

Il punto però, purtroppo per loro, è che la foto non sembra essere neppure vera, ma frutto di uno scarso lavoro a Photoshop. La verifica dei fatti dovrebbe essere uno dei pilastri fondamentali del giornalismo. Quando si smette di farla, si smette di fare giornalismo.

Il tabloid Repubblica ha smesso da un bel pezzo.

Edit: Da adesso anche l’Ansa. Poi La7. Poi il Corriere, che le commenta senza pubblicarle (già qualcosa, anche se poco). Nessuno avanza l’ipotesi che possano essere false. Poi probabilmente ce ne sono e ce ne saranno altre, di fonti d’informazione che daranno spazio alla non notizia (basta andare su Google News per rendersi conto della situazione).

Altro su Repubblica: Invece che chiedere scusa, rimuovere la foto e passare ad altro quelli di Repubblica decidono di montare la notizia il più possibile. Adesso parlano di “Giallo sugli scatti” e ci fanno sopra un intero articolo con una conclusione che è tipicamente loro.

Uscire dal rumore quotidiano

Tempo fa smisi di pubblicare rumors e mantenere la routine quotidiana tipica degli altri blog che parlano di Apple. Alcuni non presero la cosa molto bene e abbandonarono questo blog accusandolo di essere divenuto “poco aggiornato” e di non stare al passo con le notizie. Alcuni poi mi dissero di esser diventato lento e fiacco nell’aggiornarlo, di aver perso la passione iniziale. E questo solo perché avevo smesso di fare quello che tutti facevano: segnalare l’uscita di nuove, inutili (e spesso anche brutte) applicazioni per iPhone, riportare per la centesima volta un rumors, copiare articoli di blog inglesi. In sostanza, scrivere quello che era già stato scritto.

La realtà è che la scelta di non trattare rumors e di non segnalare nuove applicazioni, se non quelle che mi hanno veramente colpito, non è relativa al tempo che dedico al blog (anzi: credo di dedicargliene più ora) ma – come del resto spiego nella pagina Colophon – è motivata da un’idea più seria che Lucio Bragagnolo espone bene in un post di alcuni giorni fa: che le notizie che vale la pena di leggere quotidianamente siano poche, da zero ad un massimo di tre. Che le altre siano fuffa, news create ad hoc per generare traffico, aggiornamenti senza alcun valore, trascurabili.

Le notizie sono molto sopravvalutate. Anche per il professionista più esigente, le notizie importanti della giornata, di qualsiasi giornata, sono da zero a tre. Quelle che veramente impongono l’urgenza di sapere sono da zero a tre. Ogni anno. Si provi a stare senza la minima news Apple o informatica per una settimana, e vedere che cosa ci si è “perso”.

Il resto viene riempito da sciocchezze, invenzioni, i famosi rumor che hanno perduto da anni ogni ragione d’essere, frantumazioni del capello in sessantaquattro, inutili notizie di aggiornamento – qualsiasi programma moderno ci informa da solo che c’è un aggiornamento in attesa – e marchette.

Qui si apre un problema: cosa leggere per restare informati? La risposta è facile, per quanto concerne la lingua inglese: Daring Fireball, sicuramente. Io poi leggo anche – e questi sono solo alcuni dei blog presenti nel mio reader – This is my Next, The Loop, Marco.orgMacStories e ShawnBlanc. Apprezzo gli articoli che MG Siegler scrive su Techcrunch e la sezione tecnologica di Slate (ugualmente quella di altri quotidiani, come The Guardian). Ma per quanto riguarda la lingua italiana? Lucio dice che nel panorama italiano non c’è niente che valga la pena sottoscrivere.

Non sono d’accordo: è un’esagerazione. La blogofera italiana offre molto poco, pochissimo se paragonata a quella inglese. Ma offre qualcosa che comunque ha un valore e che a volte produce dei buoni contenuti, magari persino originali. Sicuramente questo non lo fa iSpazio e nessuno dei vari cloni esistenti. E nemmeno Macity, la cui qualità diminuisce con costanza con gli anni. Ma Il Mac MinimalistaSaggiamente sono due ottimi blog che leggo con piacere, e sono entrambi scritti in lingua italiana. Riccardo Mori è altrettanto interessante, ma lo leggo meno di frequente.

Se poi è vero che i giornali nazionali come il Corriere e Repubblica non offrono una buona copertura della sezione tecnologica, è anche vero che quotidiani online come Il Post forniscono ottimi articoli, approfonditi ma allo stesso tempo molto chiari anche per coloro che di tecnologia si interessano solo relativamente.

Il panorama italiano è molto meno gradevole di quello inglese, questo è certo e fuori da ogni dubbio. I blog esistenti puntano spesso sulla quantità piuttosto che sulla qualità. La colpa è di chi li scrive, ma anche di chi li legge: le non notizie (rumors, applicazioni, aggiornamenti, copia e incolla) sono molto apprezzate e raccolgono larghe schiere di lettori. Esiste una nutrita schiera di blog che fa cattiva informazione ed una altrettanto popolata schiera di lettori che è interessata a questa cattiva informazione: conosco persone che leggono iSpazio allegramente tutti i giorni, e non solo: lo considerano un buon blog.

I blog buoni sono pochi, quelli cattivi centinaia: ma questo vale per la rete in generale, mica solo per la blogosfera italiana. Internet è piena di cose, spesso brutte, spesso inutili, spesso prive di qualità. E ogni cento di queste però ce ne è una che però ti fa dire wow, e ringraziare che esista. Dunque non evitate per partito i siti italiani, non scappate – come Lucio suggerisce – appena ne incontrate uno: dategli una, pure se fugace, occhiata. Chissà che non finisca con lo stupirvi.