Appunti sparsi sul dualismo digitale

Appunti sparsi presi allo speech di Nathan Jurgenson all’Internet Festival di Pisa sul dualismo digitale; con aggiunte, commenti e precisazioni personali.

Pensiamo all’online e all’offline come a due entità separate, mentre non lo sono: l’offline è costantemente influenzato dall’online e viceversa. L’online non è un mondo astratto fatto di byte: dietro ai siti e ai social network e a quel mondo ci siamo sempre noi. Abbiamo creato questa finzione del mondo virtuale fatto da chissà chi per crearne, allo stesso tempo, un’altra: quella del mondo reale fatto di campi di grano, pannocchie dorate, gente scalza, aria fresca e rapporti puri senza intermediari, senza interruzioni.

Il mondo puro e naturale come alcuni lo immaginano non esiste, ma è profondamente mediato da una serie di variabili che potremmo anche definire “cultura”. Gli umani sono sempre stati tecnologici: non ha riscontro nella realtà quest’idea di un rapporto umano puro, naturale. Abbiamo avuto tecnologie invadenti per tanto tempo, alcune non le consideriamo più tali semplicemente perché sono recesse allo stato di natura. I nostri rapporti e le connessioni che stabiliamo con gli altri individui sono mediati dall’architettura del luogo in cui ci troviamo, dal modo in cui siamo vestiti, da tutto ciò che ci circonda: internet, la rete, è solo una delle tanti variabili che si è di recente aggiunta. Pretendere di avere accesso a una versione più pura di noi stessi e del mondo facendone a meno è illudersi.

Abbiamo patologizzato la connessione, iniziando a definire come più umano — più autentico — chi non è connesso. Abbiamo costruito una morale e cominciato a considerare la connessione come problematica, quasi una malattia. Abbiamo iniziato a parlare di astinenza dalla rete, quasi fosse una virtù. Ma la visione dualistica, fra vita reale e mondo virtuale, è insoddisfacente: crede che basti disconnettersi per fare a meno della rete. Questa è una concezione più pessimista: puoi anche disconnetterti, ma non ne stai davvero facendo a meno. Apprezzi così tanto il tempo senza rete perché normalmente hai la rete, perché mentre ti godi il gorgoglio del ruscello pensi a quello che ti sei lasciato alle spalle e a cui (sospiro di sollievo) potrai tornare. E comunque: mentre credi di farne a meno ti appoggi ad un mondo che funziona grazie a questa — e indirettamente continui a farne uso. Un po’ come quella persona che non ha il cellulare, però grazie all’uso che ne fanno gli amici riesce a tenersi in contatto.

La persona che pensa più spesso al denaro è quella che non ce l’ha, dicono. Funziona un po’ così: quelli più fissati con la storia del dualismo digitale sono anche gli stessi che alla fine ci pensano di più, e vedono le cose più in antagonismo. C’è sinergia fra i due: c’è un mondo solo, quello reale, e il virtuale ne è parte (come tante altre cose). Invece che purificarci facendo a meno della rete dovremmo impararne a farne un uso migliore. Puoi disconnetterti, e goderti il tempo senza, ma sapendo che ciò avviene perché quando ti sarai stancato del profumo delle margherite potrai riaccendere l’iPhone e leggere le cose interessanti che le persone dall’altra parte del globo stanno scrivendo. Pensa che rottura di palle, altrimenti.

C’è (a volte) un problema di abuso, e di buone maniere, nessuno lo nega. Ma non lo si risolve togliendosi dalla rete. È una soluzione a breve termine, senza futuro, drastica. E comunque, anche volendo, non ci si riesce — se non in apparenza.

Eventi interessanti in programma all’Internet Festival di Pisa

Oggi è iniziato a Pisa l’Internet Festival, che si protrae fino a Domenica. La giornata più interessante, almeno per me, è quella di sabato. “L’età della parola” è una serie di conferenze su come i computer possano (arrivare a) comprendere il linguaggio umano, e interpretarlo. In altre parole, Siri e linguistica computazionale, traduzione automatica e estrazioni di significato dai testi (per semplificare). Il programma completo e più dettagliato di questa serie di conferenze è online qua, e più o meno tutte meritano attenzione.

Inoltre sempre sabato, alle 15:00 e poi alle 16:00, ci sono due keynote con Nathan Jurgenson, che varie volte è stato citato in questo blog sull’abusato dibattito rapporti reali in carne ed ossa vs rapporti e esperienze in rete. Dice cose interessanti, che vanno oltre l’affermare quanto sia bello e piacevole camminare scalzi in un prato pieno di margherite (o sbraitare contro chi usa lo smartphone durante una cena). L’argomento del primo incontro, “Digital Dualism Vs Augmented Reality”, è proprio questo, mentre il secondo, dal titolo La rete in bianco e nero, vede anche la partecipazione di Evgeny Morozov (e da qui si può già capire su cosa verterà) e Andrew Keen.

Anche il venerdì ci sono alcuni incontri interessanti: uno sul self-publishing con Tombolini e uno dedicato al giornalismo in rete con Serena Danna e Marco Bardazzi (autore di un libro sul tema). C’è poi quello organizzato da Meet the Media Guru, con Jeffrey Schnapp. E, per finire, uno con Bruce Sterling (scrittore di fantascienza) che parla del suo romanzo pubblicato con 40k, “L’amore è strano”.

A rischio sbadiglio

Massimo Mantellini, su Paul Miller e quelli che lasciano Internet:

Molte di queste discussioni sono da tempo inutili e a rischio sbadiglio: in alcune occasioni perfino un po’ capziose. Non occorre mandare un volonteroso hacker 25enne fuori da Internet per un anno a leggersi i Miserabili per scoprire che Internet in fondo serve, così come non sarebbe stato necessario scollegarlo bruscamente per comprendere che se abbiamo 100 pagine da leggere senza Twitter le leggeremo meglio e più in fretta.

Le discussioni sul dualismo Internet grande occasione/Internet grande rischio sono tutte, perfino quelle più brillanti, destituite di fondamento se il tema sul tavolo è quello di una ipotetica decisione da prendere al riguardo: ciascuno di noi, pensosamente solo, di fronte al grande dilemma, chiuso nella propria cameretta. Non ci sono decisioni da prendere, né dilemmi da sciogliere, solo prassi da consolidare e nuove usanze da codificare e migliorare.

Leggo diversi commenti su quanto sia interessante l’esperimento di Miller. Ho espresso ripetutamente i miei dubbi, in breve io credo non solo che abbandonare la rete per un anno non giovi granché ai problemi che uno ha con Internet (è una soluzione solo in parte, ed è la peggiore e più drastica), ma che la cosa di per sé sia una trovata non tanto originale e, per chi guarda, pallosa — un esperimento non dei più necessari, se vogliamo. Dietro poi c’è l’idea un po’ superba che forse tutti stanno sbagliando, e io senza rete posso farcela meglio del resto del globo che ha deciso di esserne schiavo. Ritrovare se stessi facendo a meno di uno strumento. Invece poi si scopre che il resto dell’umanità non è scema, e che un po’ come la corrente elettrica e gli altri progressi tecnologici, Internet serve (che è diverso da fondamentale per la vita, ma comunque torna in molti casi utile). Lo ha scritto Miller stesso l’altro ieri, nel suo primo post da quanto è tornato su Internet, “I thought the internet might be an unnatural state for us humans, or at least for me.” Into The Wild, reloaded.

C’è la solita dicotomia, offline e online, uno è finzione e l’altro e realtà, virtuale verso vita vera e pura, rapporti fittizi contro rapporti veri. Forse il commento più interessante su questa infinita discussione sulla relazione fra mondo “reale” e Internet viene da Nathan Jurgenson:

There’s a lot of “reality” in the virtual, and a lot of “virtual” in our reality. When we use a phone or a computer we’re still flesh-and-blood humans, occupying time and space.

Ci sono molte cose da cui noi umani siamo diventati dipendenti, e non per forza dobbiamo vergognarcene. Dobbiamo utilizzarle intelligentemente, questo sì. Dobbiamo migliorarle e migliorarne l’uso che ne facciamo. Forse sono io, ma leggendo Miller durante l’anno raramente ho trovato riflessioni che mi hanno fatto pensare ne sia valsa la pena, e molte delle conclusioni e scoperte potevano essere raggiunte e immaginate senza cimentarsi nell’impresa.

L’esperimento è stato interessante? Yawn. Sapete cosa è interessante? Utilizzare Internet in maniera proficua per migliorarla e migliorare quello che ci sta attorno. Non fare un passo indietro, spaventati.

Abbiamo assorbito così tanto la logica dei social network che oramai pensiamo a come racconteremo quello che stiamo vivendo nel momento stesso in cui lo stiamo vivendo. Ogni istante è carico di potenzialità digitale e pensiamo a come raccontarlo e catturarlo, come ironizza la copertina del New Yorker in edicola.

Sull’argomento si è espresso Nathan Jurgenson sul The New Inquiry, sostenendo che la linea di separazione fra vita online e offline sia più che altro fittizia:

Risolvere questo dualismo significa anche risolvere la contraddizione: magari non riusciremo mai a disconnetterci completamente, ma in nessun modo questo implica una perdita dei rapporti faccia-a-faccia, la lenta, analogica, profonda introspezione, le lunghe camminate, o il sottile riconoscimento per la vita senza schermo. Apprezziamo tutto questo più che mai. Cerchiamo solamente di non pretendere di fare parte di qualche elitario gruppo speciale che ha accesso alla vera e pura esperienza offline, trasformando qualcosa di reale in un feticcio.

Il web ha un intreccio stretto con il “mondo reale”, la nostra vita su Internet non è separata dalla nostra vita fuori da Internet. Siamo sempre noi, che ci esprimiamo in modi, seppur diversi, sempre veri.

Real Life è un nuovo magazine (sponsorizzato da Snapchat) curato da Nathan Jurgenson, uno di quelli che da tempo spiega in maniera più efficiente e intelligente come la rete stia influenzano il nostro modo di comunicare e stare assieme, contestando l’idea molto diffusa che i rapporti che intessiamo online — le nostre interazioni “virtuali” — abbiano meno valore di quelli che intratteniamo fuori dalla rete, solo perché non avvengono in uno spazio fisico ma su internet.

Nathan contesta soprattutto la distinzione fra offline e online, fra reale e virtuale, definendola un “dualismo digitale“. Spiegato, da un articolo di Bicycle Mind di un paio di anni fa, così:

Il mondo puro e naturale come alcuni lo immaginano non esiste, ma è profondamente mediato da una serie di variabili che potremmo anche definire “cultura”. Gli umani sono sempre stati tecnologici: non ha riscontro nella realtà quest’idea di un rapporto umano puro, naturale. Abbiamo avuto tecnologie invadenti per tanto tempo, alcune non le consideriamo più tali semplicemente perché sono recesse allo stato di natura. I nostri rapporti e le connessioni che stabiliamo con gli altri individui sono mediati dall’architettura del luogo in cui ci troviamo, dal modo in cui siamo vestiti, da tutto ciò che ci circonda: internet, la rete, è solo una delle tanti variabili che si è di recente aggiunta. Pretendere di avere accesso a una versione più pura di noi stessi e del mondo facendone a meno è illudersi.

I primi articoli di Real Life sono usciti ieri. L’obiettivo della rivista, come scrive Nathan, è proprio quello di descrivere come viviamo con la tecnologia senza lasciarsi andare ai soliti articoli allarmanti del tipo “internet ci sta rendendo stupidi?”:

Real Life will publish essays, arguments, and narratives about living with technology. It won’t be a news site with gadget reviews or industry gossip. It will be about how we live today and how our lives are mediated by devices. We plan to publish one piece of writing every weekday, though we may eventually expand to other mediums and formats as well. […]

Popular discourse on technology has sustained the idea that there is a digital space apart from the social world rather than intrinsic to it, while popular tech writing is often limited to explaining gadgets and services as if they’re alien, as well as reporting on the companies that provide them. This work is crucial, but writing about technology is too often relegated to the business section. On this site, it will be the main event. We’re not a news or reviews site, but we will describe the tech world—specifically how that industry shapes the world we live in today. To that end, we aim to address the political uses of technology, including some of the worst practices both inside and outside the tech industry itself.