Black Mirror è una serie tv di Charlie Brooker[1. Il cui Wipe annuale è appuntamento imperdibile a capodanno], dedicata a esplorare l’impatto che la tecnologia odierna (smartphone, computer, social network, etc.) così come quella attualmente in sviluppo (AI), avranno sulle nostre vite.

Due cose che mi piacciono della serie. La prima: che ogni episodio esplora una degenerazione diversa, fra le tante possibili. Il terzo episodio, “The Entire History of You”, mostra l’impatto che una versione avanzata dei Google Glass potrebbe avere su relazioni e ricordi. Un chip, inserito direttamente nel cervello, è in grado di registrare tutto quello che ci succede: finiamo con il diventare ossessionati dai ricordi e col rivivere i momenti belli di continuo, nello stesso modo in cui oggi ricorriamo a Facebook. “The Waldo Moment”, l’ultimo episodio della prima serie, mostra un comico “proporsi” come politico, grazie a un panorama informativo dedicato più a intrattenere che informare (è meno futuristico, e con il Movimento 5 Stelle in Italia ci andiamo molto vicini). Ma se ne volete uno davvero terrificante “White Christmas“, lo speciale che Channel 4 (che ha commissionato la serie) ha mandato in onda a Natale, è quello da vedere.

La seconda ragione per cui Black Mirror funziona è che i device che i protagonisti usano per quanto diano luogo a scenari distopici e poco augurabili, sono anche molto belli. E sono belli sia nelle funzionalità (a volte) che, soprattutto, nel design. Sembrano oggetti che Apple avrebbe potuto disegnare, e in ciò si svela l’elemento più spaventoso di Black Mirror: il fatto che queste tecnologie — per quanto diano spazio a scenari e ipotesi terrificanti — si diffondano per scelta, non forzatamente. Vengano volentieri e spontaneamente adottate dai protagonisti degli episodi, grazie a un design minimalista e molto in linea con i gusti correnti che ci fa dimenticare, se non nasconde, i pericoli.

Scrive il New York Times:

To that end, the gadgets in “Black Mirror,” including the creepy memory-recording devices, look sleek enough to want, which is perhaps the show’s cleverest trick. It is impossible to watch the show and not idly fantasize about having access to some of the services and systems they use, even as you see them used in horrifying ways. (You might not feel this way about, say, “The Terminator.”) Most television shows and movies can’t even correctly portray the standard interfaces that we use to browse the Web, send a text message or make a voice call, let alone design them in a desirable way.

“Black Mirror” resonates because the show manages to exhibit caution about the role of technology without diminishing its importance and novelty, functioning as a twisted View-Master of many different future universes where things have strayed horribly off-course. (This is an advantage it has over the movies: a blockbuster must settle on one convincing outcome and stick with it.)