Agli editori le applicazioni non piacciono

Le riviste sotto forma di applicazione non funzionano. Non piacciono ai lettori, che si ritrovano a dover scaricare 500 MB a copia, che sono chiusi dentro un “piccolo ecosistema” dal quale non possono portare fuori nulla, non piacciono agli editori che devono spendere diverse risorse per crearle ottenendo un ritorno economico inferiore del previsto.

Le riviste su iPad sembrano i libri su iPad prima che esistesse l’iBooks Store. Se vi ricordate, qualche editore indipendente creò delle applicazioni per i suoi libri; una per ogni libro. Non mi è mai piaciuta come idea, perché questi libri.app restavano legati all’iPad e morivano con esso — tutto quello che ci facevi, sottolinearli, conservarli, appuntarli era indissolubilmente chiuso nell’applicazione.

Le riviste su iPad sono uguali, sono chiuse e limitate, rispecchiano un vecchio modo di fare le riviste che non si avvantaggia minimamente delle opportunità che il mezzo offre. Ne parla Jason Pontin:

Il vero problema con le applicazioni è più profondo. Quando per persone leggono le news su media elettronici, si aspettano che queste posseggano le caratteristiche del Web (links), ma gli articoli nelle applicazioni non linkano per davvero. Le applicazioni sono state definitivi “giardini recintati”, e anche se a volte erano belli, erano pur sempre piccoli, soffocanti.

La loro bellezza non riesce a far accettare e giustificare i limiti. Una critica più approfondita, rivolta soprattutto alle riviste di Condé Nast ma facilmente estendibile a tutte quante, era stata scritta da David Wheeler. Entrambi, comunque, credono che il web sia il futuro. Non le applicazioni.